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I cani da caccia: Ritratti



L'Epagneul Breton

 


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L’Epagneul Breton
di Daniele Pozzoni

L’Epagneul Breton è uno dei cani più diffusi nel nostro paese, secondo solo al Setter Inglese, considerando esclusivamente le razze da ferma, o anche al Pastore Tedesco (che detiene il record) in generale. Di fatto, dinanzi ad una statistica del genere, viene spontaneo abbozzare un sorriso d’orgoglioso, specie se questa è la razza da noi prediletta per la caccia e se, per di più, siamo anche affetti da cinofilia acuta! Ma, accantonando la breve arroganza appena scaturita per la gioia regalataci dal nostro pupillo, andiamo ad analizzare più dall’interno la realtà.
Riguardo ai numeri nulla da ridire, sono esatti, ma se osserviamo, invece, i singoli soggetti ci si accorge dell’esistenza di più tipi rappresentanti la razza. Questo, oltre ad essere assurdo, poiché il prototipo di razza è uno solo e tale deve rimanere, ci riporta ad essere seri; caratteristica principale di ogni buon cinofilo. I gruppi da me accennati e che si sono distinti negli ultimi anni, possono essere catalogati come segue: 1) cani esclusivamente da esposizione; 2) - cani esclusivamente da lavoro; 3) - Epagneul Breton.
In ogni razza da caccia, purtroppo, esistono soggetti selezionati solo per la loro morfologia. Questo non è solo sbagliato, ma è inconcepibile. Infatti, ogni specie canina è nata per assolvere uno scopo ben preciso e se questo viene a mancare, la stessa non ha più motivo di esistere. Tra i vari gruppi, cani da caccia, da difesa, da pastore… ecc., esiste anche quello dei cani da compagnia. Ho detto tutto! Se si vuole un fantoccio da sventolare qua e là nei best in show, non capisco la ragione di dover acquistare un Breton, Setter, Bracco o Pointer che sia; giacché le alternative esistono, occorre utilizzarle!
Meno grave, ma comunque inopportuna anch’essa, è la selezione esasperata unicamente all’uso venatorio. Mi spiego: che il compito di un cane da ferma sia di cacciare è più che scontato e ovvio, ma che per ottenere ciò si utilizzino soggetti che non rispettano minimamente le caratteristiche di razza non trova nessuna giustificazione. Vale ancora il discorso precedente: acquisto un Breton, ma voglio che abbia una cerca da Inglese (nel migliore dei casi) o da Springer (nel peggiore); meglio cambiare razza! Vi è, infine, un insieme di soggetti che sono corretti sia sotto il punto di vista morfologico, sia sotto quello del lavoro. Questi, presenti in numero minore rispetto agli altri, sono i famosi Epagneul Breton (poiché solo coloro che danno prova di rispettare entrambi gli standard
- lavoro e bellezza - sono meritevoli di tale appellativo).

Arnet di Keranlouan, di Umberto Saletti (Foto G.M.) Foto di titolo: Sabine Middelhaufe

I nemici numeri uno di ogni razza sono la moda e la disinformazione. La prima crea la “corsa all’acquisto”, che provoca inevitabilmente l’aumento di cucciolate per soddisfare le innumerevoli richieste, e non importa che rispecchi la razza ma solo che vi assomigli minimamente o che il pedigree ne attesti la nobiltà di sangue.
La seconda causa “usi impropri” da parte degli acquirenti, per esempio, siccome in passato il Breton era una specie di segugio col difetto della ferma, alcuni ancora oggi acquistano soggetti da utilizzare esclusivamente a conigli e a lepri. Può anche danneggiare la selezione stessa, perché se un cinofilo alle prime armi acquista dei cani di una certa razza pensando che ne rispecchino l’ideale (e parecchi nemmeno conoscono lo standard) ovviamente li utilizzerà in riproduzione, sfornando soggetti atipici che saranno poi distribuiti e che contribuiranno a diffondere difetti (fisici o psichici che siano). Infatti, non è rado incontrare dei neo-appassionati che, magari influenzati da persone poco competenti, acquistano soggetti a fine carriera (forse dipinti come fenomeni che qualcuno ha incautamente scartato, e quindi un vero e proprio affare) e li utilizzano in riproduzione con cagne di scarso valore. Una cucciolata certamente coinvolge anche emotivamente il proprietario o allevatore che sia, ma occorre avere alle spalle un minimo di conoscenza della razza, delle linee di sangue e di cosa si vorrebbe ottenere. No, il risultato non è mai scontato. Da genitori campioni, purtroppo, non nascono esclusivamente altri campioni, ma possiamo almeno tentare di migliorare ciò che abbiamo.
La fattrice designata avrà, come tutti i cani, dei pregi e dei difetti, che noi essendo attenti osservatori conosceremo nei minimi dettagli; quindi la scelta del maschio deve ricadere su quel soggetto che compensa le tare esistenti, solo così si può sperare di fare perlomeno mezzo passo avanti. Ovviamente tra la femmina e il maschio non deve esserci una grande diversità fisica (ma anche psichica) altrimenti otterremo solo un gran pasticcio. Vorrei smentire, definitivamente, che il “brutto-ma-bravo” per il “bello-ma-inutile” non da affatto l’eccellente ma, il più delle volte, un vero e proprio obbrobrio!

Bruk, di Giuliano Goffi in ferma su starne (Foto Pietro Garro).

Ma torniamo a occuparci di Breton: oggi la situazione è definita buona (da alcuni anche ottima); i soggetti italiani vincono tutto dappertutto e sono, quindi, esibiti come i migliori. La razza è in mano, per la maggior parte, ai suoi diretti utilizzatori e questo se da un lato è un bene dall’altro è un’utopia; ripensando a quello appena affermato di ciò che può nascere dalla poca informazione.
Secondo il mio modesto parere, tuttavia, c’è ancora molto da fare per raggiungere l’eccellenza, altrimenti come spiegare la presenza di molti cani sottotaglia, lunghi di rene o, ancora, con ossature esili? Lo standard definisce il Breton come un cane rustico di taglia media (da 48 a 50 con ±1 cm di tolleranza), robusto, compatto e brevilineo (COB). Questa descrizione non sempre si addice ai soggetti presentati nelle prove, ma nonostante ciò essi vincono e continuano ad apparire come ottimi rappresentanti di razza. Forse sono io a pretendere troppo, ma quando si parla di Breton, ho ben fissato in mente un certo tipo di cane. Robusto, con un torace a botte ben largo (perché a differenza del Pointer che trae la sua resistenza dalla profondità del torace, qui è invece la larghezza a essere decisiva), un garrese ben elevato, rene corto (non lo è mai troppo! Deve quasi apparirne privo), groppa leggermente inclinata, gli arti di buona ossatura e muscolosi, appiombi corretti, con metacarpo flesso e piedi ben chiusi (che fungono da ammortizzatori durante il galoppo). Quindi, secondo me, tutti quei soggetti, anche bravi sul terreno, ma con garrese al di sotto dei limiti fissati (e a volte osservo soggetti da far rabbrividire per la loro somiglianza a un cucciolo di tre mesi!) andrebbero penalizzati, se non esclusi da qualsiasi prova.
La colpa della presenza di cani poco tipici è l’odiosissima “prestazione”. La cinofilia oggi è fatta in gran parte di velocità, prestazione e mentalità, tre caratteristiche che se presenti in giusta quantità fanno il gran cane, ma che altrimenti fanno un brocco. Un Epagneul Breton (è di questo che si sta discutendo, ma vale per ogni razza) che presentato a un’attitudinale esegue un percorso geometricamente perfetto sfiorando in ogni lacet i limiti del campo, non deve, per forza, essere considerato come riferimento da cui attingere. Il cane da utilizzare è quello che oltre a sfoggiare una cerca ordinata e nella nota del continentale (che non è quella di un cane da cerca, attenzione!) manifesta a buoni livelli le doti descritte nello standard di razza, nel nostro caso: struttura tipica, galoppo spumeggiante con falcate raccolte e scattanti, stilista nella ferma (di scatto o dopo rapido e deciso accertamento sempre in piedi) e che sfoggi pure un buon consenso (considerata una tara nei continentali).

Diva dei Fiorindo, di Claudio Cavalli (Foto G.M.)

Richiamo l’attenzione del lettore su due mie affermazioni: “cerca da Continentale” e “ferma sempre in piedi”. Molte persone (tra cui alcuni appassionati degli Inglesi) credono che il Continentale sia un cane esclusivamente da carniere, con cerca limitata, poca foga e passione, in poche parole un mezzo sangue che sul terreno esprime poco o nulla. A creare questo concetto, ha di certo contribuito la presenza di cacciatori che vagano accompagnati da quattro o cinque cani e che con essi praticano ogni tipo di caccia. Personalmente mi è capitato più volte di incontrare gruppi di sei o sette Breton, se così si poteva chiamarli, cui seguiva un unico individuo. Non riuscivo a capire il bisogno di tutti quei soggetti, seguirli tutti durante il loro lavoro sarebbe stato impossibile. Poi tutto mi diventò chiaro, la loro cerca era limitata a pochi metri, quindi il nuovo quesito che nasceva nella mia testa era: a quale scopo? Quale finalità ha possedere sei cani che valgono quanto un Cocker scadente?! Ma si sa, ognuno è libero nelle sue azioni.
Un vero Continentale ha sì una cerca più ristretta rispetto all’Inglese, ma deve coprire comunque una notevole quantità di terreno. La differenza principale che io riscontro tra i due raggruppamenti (e che, sempre secondo il mio modesto parere, è anche la caratteristica distintiva sostanziale) sta nel modo di effettuare la cerca; non tanto guardandone l’ampiezza, ma proprio nel modo di affrontare il terreno. Il Continentale, infatti, allarga al pulito e, quando s’imbatte nello sporco, scala le proprie marce per un maggiore collegamento con il padrone. Al contrario il purosangue Inglese tende di più a cercare negli spazi aperti, tralasciando maggiormente quelli chiusi da siepi o boscaglia che sia. Qualcuno obietterà che sia ovvio, il Setter e il Pointer sono nati per cacciare le grouses in spazi aperti; d’accordo, ma non si può negare che costoro cacciano più per loro stessi o per il piacere di correre e di spaziare, diversamente, per esempio, dal nostro Breton che - secondo me - lo fa sia per passione sia per il piacere del suo proprietario.

Elli, di Stefano Plebani in ferma su beccaccino (Foto Stefano Plebani)

Veniamo ora al secondo punto di analisi da me sottolineato: la ferma in posizione eretta.
Tra i cani da ferma tolto il Setter Inglese, non esistono cani il cui standard riferisce di una ferma a terra. Screditiamo anche l’idea che l’unico a filare sia sempre il ben voluto Laverack, perché non tutti i continentali bloccano alla Pointer, anzi nessuno in realtà lo deve fare. L’unico che gli si avvicina per rapidità nella presa di punto è, per un certo verso, il Breton che, anche senza i “colpi di spada”, come recita lo standard dell’altro, esegue a sua volta un rapido accertamento per poi bloccare sicuro. Ciò non significa però che entrambi non preparino la ferma, anzi… ma questa fase d’indagine nel vento è così rapida che non tutti sanno notarla. Tutti gli altri Continentali, al contrario, precedono la ferma con una filata, ognuno secondo il proprio stile, c’è chi rallenta passa dal galoppo al trotto e poi al passo, alza la testa e segnala con la coda, fino a irrigidirsi (il Kurzhaar ad esempio) e chi, invece, tende ad avere un atteggiamento leggermente più morbido quasi felino come il Korthals, pur restando sempre lontani dalla classica gattonata del Setter Inglese.
Detto questo non vedo di buon occhio l’ammettere ferme contorte e a terra in queste razze. Lo standard afferma che se il cane è a ridosso del selvatico ogni posizione è ammessa, unica imposizione è che la testa sia alta e rivolta alla sorgente d’emanazione. Pensiamo però a un vero selvatico (non i polli liberati il venerdì per il sabato), credete che stia lì immobile a farsi fermare?! Oppure chiediamoci: un soggetto che ferma in extremis un banale selvatico come va considerato? Un ottimo cacciatore con pronti riflessi? Mah, forse se l’occasione sia unica nel suo genere, ma un cane che ripete spesso quest’azione non credo lo faccia per bravura.
Un esempio preso da una delle “garette” locali organizzate dalle mie parti, che per altro mi è stato raccontato, giacché io nemmeno ero nato: tra i cani presentati vi era una “Setterina” che si distingueva, oltre per la sua bravura, nella presa di punto che immancabilmente era presa di “rovescio”. La cagna, infatti, accorta della presenza del selvatico all’ultimo piombava in ferma eseguendo una veloce capriola. Se il caso fosse stato isolato, come appena affermato, si sarebbe trattato di velocità di riflessi, ma dato che era, in realtà, una sua caratteristica quotidiana, ciò ci porta a pensare che prima avveniva il sorpasso del selvatico e poi, ma sempre e solo dopo averlo scavalcato, la cagna tornava a fermare. A voi il giudizio…
Comunque, se si vuole proprio ammettere la ferma a terra, deve però rimanere legata solo ed esclusivamente al caso in cui il cane sia a ridosso, e in nessun caso il soggetto, dopo essere piombato giù, si dovrà esibire in una lunga guidata.

Rex, di Giuseppe Bassi in ferma su quaglia (Foto G.M.)

Ora, prima di toccare un altro punto riguardante le prove per Continentali, vorrei ritornare al nostro Epagneul Breton e ai problemi da me sollevati che lo riguardano da vicino. Ho parlato dell’esistenza di cani esili con ossature troppo leggere, bene questa problematica affligge in maggior modo il “gentil sesso”. Anche tra i cani esclusivamente da esposizione di femmine robuste, come standard comanda se ne vedono ben poche. Se è vero che dobbiamo saper distinguere i due sessi a prima vista, è vero anche che tale distinzione è merito soprattutto dalla conformazione della testa, più gradevole ed elegante rispetto a quella del maschio. Le restanti caratteristiche, infatti, devono rimanere invariate. Quindi occorre operare bene anche nella selezione delle fattrici perché, ricordo, sono anch’esse importanti tanto quanto i riproduttori; cercando di produrne un tipo il più possibile tipico, con torace largo e conformazione massiccia.
Parliamo, dunque, di prove. Ad eccezione delle classiche e delle attitudinali, tutte le altre prove a selvaggina per continentali sono disputate in singolo. Molti ritengono che ciò sia utile a preservare il cane cacciatore e non incombere nel pericolo dell’esasperazione. Personalmente mi chiedo se, come costoro sostengono, occorra escludere il turno di coppia per valutare meglio i soggetti presentati. Se la paura è di veder preferire i cani riguardo solo alla prestazione data durante la prova, non è forse più ovvio preparare meglio i giudici, in modo che non si perdano solo in quella direzione?!
Lo stesso discorso si può applicare anche all’interno dei ring d’esposizione, perché nel Breton vengono giudicati separatamente i soggetti rispetto alla colorazione del proprio manto, quando da sempre si è detto (e lo afferma pure lo standard, da lì non si scappa!) che la struttura rimane invariata al mutare della pigmentazione? Forse per rendere meno difficoltosa l’osservazione e l’assegnazione della qualifica da parte delle persone addette. E, a proposito di colorazione del manto, si dovrebbe operare anche in questa direzione. Da alcuni anni si vedono Epagneul Breton quasi unicolore, e si sa questo lo standard non lo ammette. È vero che dalla Francia è arrivata la rettifica che i manti unicolore nero sono da eliminare o comunque da valutare con qualifiche minime, ma non spetta solo ai giudici, ma anche al buon senso degli addetti ai lavori poiché, anche se non determinate al “nostro” fine ultimo, dobbiamo dare all’occhio un giusto appagamento. Auspicando, dunque, di ottenere un giorno Breton rispettosi in tutto e per tutto agli standards (anche se sappiamo bene che ciò è impossibile, perché ci si potrà solo avvicinare alla perfezione ma mai ottenerla), termino queste mie riflessioni sperando di aver reso chiaro e comprensibile a tutti il mio pensiero riguardo a questa bella razza, e al cane Continentale in generale.

Oro del Pellegrinotti, di Enrico Aliprandi (Foto G.M.)


Pubblicato con gentile permesso di Cani da ferma e da cerca.

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